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Roma, ripensare in grande il futuro dei territori

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Roma, ripensare in grande il futuro dei territori

Rigenerare, infrastrutturare e collegare le varie parti della città attraverso lo strumento del Masterplan, sconosciuto nel vocabolario cittadino è la chiave per pianificare la Roma del futuro. Ecco perché…

di Renato Scattarella*

Perché a Roma servono i Masterplan?

Se si vuole immaginare una Roma del futuro che sia realmente diversa dall’attuale, più smart, più connessa e più attrattiva per turisti, imprese, giovani e famiglie, bisogna che tutti gli attori coinvolti inizino a pensare ed agire in grande, come avviene già da decenni nelle più grandi metropoli del Mondo.

La Storia

Uno dei più grandi limiti di Roma dall’Unità d’Italia in poi è stata l’incapacità di guardare allo sviluppo della città con una visione complessiva e di lungo periodo. Tutto è sempre avvenuto subendo il cambiamento e mai programmandolo. Prima il passaggio repentino da “paesaggio agricolo in mano alla Chiesa” a “Capitale del neonato Regno d’Italia”, con le prime speculazioni edilizie ante litteram, poi la fase di riorganizzazione urbanistica dello Stato fascista, rimasta per lo più incompiuta, e infine il caotico assetto urbano del dopoguerra che ha inflitto il colpo di grazia alla già disordinata storia urbanistica della città, consegnandoci periferie oggi invivibili.

Gli ultimi anni

Al netto di scandali e opache relazioni tra politica ed investitori che hanno portato all’arresto di attori pubblici e privati in quella che è agli atti come la stagione di “Mafia Capitale”, non si intravede negli ultimi anni una visione urbanistica complessiva ed organica della città che metta in relazione tra loro in un unico disegno l’edilizia residenziale, quella direzionale, le infrastrutture, i trasporti, la gestione degli spazi pubblici e del paesaggio urbano. A parte piccole ed isolate opere di rigenerazione e piccoli lotti residenziali, che a Roma chiamiamo “Palazzine”, non esiste ancora un quadrante della città che sia stato rimesso a nuovo dopo uno studio attento e dettagliato come è avvenuto e sta avvenendo per esempio a Milano, per non guardare troppo distante da casa nostra.

Eppure ci sono intere zone anche centrali e semi centrali in totale abbandono da anni che, se messe a sistema in un unico grande disegno, da qui al 2030 potrebbero essere il volano per la ripresa e la trasformazione della città.

Cos’è un Masterplan

Un Masterplan è un documento di pianificazione a lungo termine che fornisce un layout concettuale per la crescita e lo sviluppo di una certa area. Esso riguarda il collegamento tra edifici, contesti sociali e ambienti circostanti, include analisi, raccomandazioni e proposte che tengono conto di tanti aspetti legati al territorio: la comunità, l’ambiente, l’economia, i trasporti, le infrastrutture.

I Masterplan sono uno strumento fondamentale se si vuole davvero rigenerare una vasta area ed imprimere una svolta in termini di sviluppo economico e qualità della vita. Se mal concepiti e mal eseguiti possono portare grossi problemi per le generazioni future, ma anche per i cittadini nell’immediato futuro.

Cosa significa un masterplan per il contesto urbano di Roma

Il concetto di base rivoluzionario per Roma sarebbe quello di costruire e rigenerare un’area vasta della città con una strategia ed una roadmap ben precise, facendo convergere l’interesse dei privati ad investire e quello dei cittadini a godere di spazi che aumentino la qualità della loro vita. Apparentemente lapalissiano, questo concetto non è ancora entrato nella cultura di questa città, che ancora vive in un eterno conflitto tra “palazzinari” ed “oppositori ideologici” contrari a qualsiasi forma di cambiamento e interessati a conservare l’equilibrio esistente. Insomma Roma negli ultimi anni si è avviata a quella che chiameremmo la “decrescita infelice” con qualche sprazzo di edilizia residenziale qua e là dentro e fuori dal GRA.

Cosa serve oggi a Roma

Bisogna far sedere ad un tavolo istituzioni, associazioni dei costruttori, università, ordini professionali e comitati ed avviare una stagione di concertazione e sviluppo di progetti di ampio respiro, prevedendo anche scelte dolorose e impopolari, quali dismissioni, espropri di aree private e bonifiche.

Insomma, il metodo è fondamentale e potrebbe innescare un meccanismo virtuoso in grado di attirare grandi capitali. Se si va avanti con piccoli lotti di rigenerazione, per lo più residenziale, o con piccoli interventi pubblici di manutenzione straordinaria, si otterrà solo un aumento di aree edificabili e di spesa pubblica, ma senza la creazione di un moltiplicatore virtuoso degli investimenti e senza incidere in modo significativo sul paesaggio urbano e sulla qualità dei servizi dei prossimi decenni.

Benchmark con Milano

Si è molto parlato di Milano e della sua rigenerazione urbana, iniziata poco più di 20 anni fa, essa è stata immaginata, programmata e plasmata sul futuro, sul medio e lungo periodo, a prescindere dai cambi al vertice politico della città. Basti pensare al masterplan di Porta Nuova (Piazza Gae Aulenti) o dell’area dell’ex Fiera al Portello (City Life), che hanno segnato la Milano post EXPO, ma anche al grande progetto di rigenerazione degli ex scali delle Ferrovie dello Stato, che rappresenteranno la Milano delle Olimpiadi 2026 e del post evento. Si aggiungono poi progetti e cantieri in corso, come quelli delle ex aree Falck di Sesto San Giovanni o della linea 5 della metropolitana che collega l’aeroporto al Duomo in quindici minuti e tutte le opere connesse. Nell’area che fu di EXPO sorgerà invece Il MIND (Milano Innovation District), ma non mancano nuove centralità urbane e molti più spazi verdi, il tutto pensato in maniera organica e inserito in un unico grande progetto di trasformazione della città.

Ogni nuova costruzione ed ogni ampliamento dell’esistente comportano per il privato che li realizza l’obbligo del versamento di somme che servono al Comune per realizzare strade, parcheggi, verde pubblico, reti di distribuzione di acqua, gas, elettricità, le fogne, la pubblica illuminazione e in alcuni casi anche la costruzione di asili, scuole dell’obbligo, impianti sportivi, chiese, centri culturali, ecc (i cosiddetti oneri concessori). L’esempio di Milano dimostra come il meccanismo possa essere davvero virtuoso a tutto vantaggio della collettività.

 

Alcuni esempi concreti per Roma

A Roma esiste una vasta area attraversata dal fiume Tevere che va dall’Ardeatina fino alla Portuense (Roma Sud-ovest) e che è un concentrato di edifici in abbandono, ove c’è di tutto: archeologia industriale, ex fabbriche, terreni abbandonati, edifici occupati abusivamente. Per questa area, ancor prima del 2000, erano stati elaborati progetti mai realizzati, alcuni dei quali iniziati ma rimasti incompiuti e di cui, talvolta, ancora permangono i transennamenti; ma ciò che di positivo accomuna tutte queste realtà è, da un lato, la concentrazione logistica in una medesima area e, dall’altro, la possibilità di essere pensate all’interno di un unico grande Masterplan, che preveda opere infrastrutturali di grande impatto e una nuova mobilità sostenibile.

Parliamo del futuro dell’area che va dall’ex fiera di Roma sulla via Cristoforo Colombo, passando per le aree intorno all’ex terminal Italia ‘90 (oggi sede di Eataly), proseguendo verso gli ex Mercati Generali di via Ostiense e gli stabili occupati in Via del Porto Fluviale che guardano all’area del Gazometro, oggi Italgas, per finire sull’altra sponda del Tevere, altezza viale Marconi, dove ci sono l’ex Mira Lanza (che da anni attende la bonifica), l’ex UCI Cinema Marconi (oggi fermo per un contenzioso) e l’enorme spazio di Piazzale della Radio, per cui è previsto un progetto di parcheggio multipiano e che, in base al Piano Urbano della mobilità sostenibile (PUMS), dovrebbe essere attraversato dal nuovo tram che da San Paolo raggiunge Stazione Trastevere (anch’essa inserita in un progetto di riqualificazione). Su quest’ultimo lotto è persino previsto il passaggio della futura Metro D, per il quale in passato si era pensato al project financing.

I progetti per quest’area, sulla carta, sono tanti e, per giunta, privi di coerenza d’insieme e di adeguato finanziamento pubblico, nonché ostacolati da iter burocratici complicati. Viceversa, un unico grande Masterplan renderebbe molto più appetibile la riqualificazione complessiva dell’area e avrebbe una forte capacità attrattiva rispetto ai grandi gruppi internazionali interessati ad opere di grande respiro, riuscendo a garantire una ricaduta in termini di ridefinizione del paesaggio che non ha precedenti in questa città.

Al contrario, opere tra loro scollegate non otterrebbero i necessari finanziamenti e, conseguentemente, non sarebbe neppure ipotizzabile la realizzazione di infrastrutture e spazi pubblici come invece è accaduto e sta accadendo a Milano.

Serve dunque uno sforzo collettivo a più livelli per cambiare la mentalità e la cultura urbanistica di questa città, con un coinvolgimento attivo non solo dell’amministrazione comunale, ma anche del governo e degli enti territoriali, del mondo finanziario, dei costruttori e delle imprese, che veda i cittadini protagonisti, questa volta in chiave propositiva e non oppositiva. Solo così si può immaginare di ridisegnare la Roma del futuro.

*Renato Scattarella, è Digital Strategist, lavora per una azienda multinazionale nel settore della Cybersecurity, ed è esperto di Marketing per il Turismo ed il territorio e appassionato di Storia.

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